Breve storia della democrazia – il Medioevo

Autore:
Massimiliano Grimaldi
  • Direttore responsabile

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Nel Medioevo il concetto di democrazia venne attuato in maniera più compiuta e razionale (rispetto all’antica Grecia) grazie all’intuizione cristiana della vita ed a forze socialmente innovatrici. L’insegnamento etico del Vangelo, ponendo l’accento sul valore della personalità rinnovata dalla carità e dalla grazia, affidava al soggettivismo spiritualistico l’affermazione del fondamentale principio della libertà e uguaglianza; la ribellione delle masse alle diseguaglianze economiche e giuridiche favoriva invece i sodalizi fondati sull’uguaglianza morale e sulla comunanza dei beni.

Nei Comuni l’egualitarismo del Cristianesimo primitivo, elaborato dai giuristi-notai della nuova classe dirigente cittadina, venne idealizzato e politicizzato con connotazioni stoiche e della tradizione giuridica romana. Da quest’ultima i trattatisti medievali presero inoltre l’idea della sovranità popolare (rimasta poi tra i caratteri preminenti della democrazia) che fu anche arma efficace nelle lotte politiche combattute dall’Impero contro il Papato. L’idea del potere fondato su di una originaria ed irrevocabile concessione del popolo (romano) aveva un peso di gran lunga maggiore rispetto all’idea di un monarca autorizzato per esclusiva mediazione sacerdotale.

La concezione della volontà sovrana del popolo dava invece l’avvio, già nel 14° secolo, ad una connotazione moderna dello stato in quanto realtà politica, indipendente non solo dall’investitura papale ma anche dalla stessa autorità dell’Impero universale. Precedentemente, Manegold von Lautenbach, filosofo e teologo tedesco, aveva sì propugnato la provenienza divina del potere, ma nelle mani del popolo; è questo quindi, successivamente, a delegare il potere nelle mani del re. Il filosofo afferma pure che, nel caso in cui il re eserciti male il potere, il popolo ha diritto a ribellarsi fino al tirannicidio.

Poiché nessuno è in grado di farsi da sé solo imperatore, è chiaro che è il popolo a innalzare uno sopra tutti così che egli possa governare e reggere l’impero con la giustizia. […] Agli imperatori e ai re che proteggono il regno si devono lealtà e rispetto, ma se essi si volgono all’esercizio della tirannide allora ogni obbedienza e rispetto vengono a mancare. Quando colui che è stato scelto per punire i malvagi diviene egli stesso malvagio e esercita con crudeltà contro i suoi sudditi la tirannide che aveva il compito di allontanare dal regno, è evidente che deve decadere dalla carica concessagli e che il popolo ha il diritto di liberarsi dal suo dominio: è il re divenuto tiranno il primo a rompere il patto. Nessuno può accusare il popolo visto che il re è stato il primo a tradire la fiducia pattuita.

Ma, se qui il considerare irrevocabile la concessione popolare della sovranità costituiva la premessa giuridica dell’assolutismo, d’altra parte all’esplicazione del concetto di democrazia si opposero sia la nozione di rappresentanza (mera presunzione giuridica in quanto il governante non manteneva il rapporto con i governati), sia la limitata applicazione del principio egualitario, propria della civiltà comunale.